In tempi di caro energia e guerra del gas, abbiamo approfondito l’argomento con Michele Benini, direttore del Dipartimento Sviluppo Sistemi Energetici di RSE, istituto di ricerca partner di Enersem nel progetto SEE MORE. Il quadro è complesso e realmente globale ma c’è una buona notizia: in attesa che anche l’Italia risolva il nodo delle rinnovabili, uno dei mantra dell’UE è “Energy Efficiency First”. Questo articolo rielabora la densa spiegazione che Benini ha delineato durante l’intervista con Daniela Faggion e Matteo Zanchi.
Il problema del gas e del caro-bollette non è spuntato come un fungo tardivo a dicembre. È una questione che arriva da lontano, nello spazio e nel tempo. Anche se siamo ancora alle prese con l’incertezza della pandemia nel quotidiano, infatti, le economie più forti considerano passata la burrasca affrontata con i lockdown del 2020 e 2021 e sono ripartite – in particolare quelle asiatiche – per recuperare il tempo perduto, trascinando verso l’alto i consumi di metano e le sue quotazioni.
Il mercato del metano è cambiato
Il mercato del metano è molto cambiato negli ultimi 10 anni. In primis, non è più incentrato prevalentemente sui flussi attraverso i grandi gasdotti, che collegano rigidamente produttore e consumatore. Ad assumere un grande rilievo sono le transazioni di Gas Naturale Liquefatto (GNL) che, essendo trasportato su navi, può essere consegnato sul mercato che, di volta in volta, esprime i prezzi più elevati. La posta in gioco è talmente alta che anche gli USA, con il boom della produzione nazionale di “shale gas”, si sono trasformati da importatori a esportatori netti di gas liquido. Al contempo, anche in relazione alle politiche internazionali di decarbonizzazione, le multinazionali dell’esplorazione hanno ridotto gli investimenti e lo sviluppo di nuova estrazione è rallentato. A questo va aggiunto il fatto che si è passati da un trading del metano con contratti a prezzi fissati a lungo termine (le cui clausole erano tra i segreti meglio mantenuti da parte degli operatori del settore) a mercati spot, in cui i prezzi variano di giorno in giorno, aumentandone la volatilità. A cornice di questo quadro c’è il conflitto geopolitico che ruota attorno alla Russia e contribuisce a rallentare le forniture di gas: la crisi con l’Ucraina, la situazione poco chiara in Kazakistan, il gelo con il motore economico europeo – la Germania – che ha bloccato il nuovo gasdotto Nord Stream 2.
Domanda alta, offerta ridotta, contratti spot, ETS
Come si riflette questo quadro fatto di domanda alta, offerta ridotta e contratti spot in Italia e in Europa? Poiché la fonte di energia elettrica marginale (indispensabile per coprire la domanda) è il gas nei cicli combinati, a un maggiore prezzo del gas consegue un maggiore prezzo dell’energia elettrica, cui si aggiungono i costi che i produttori che usano fonti fossili devono sopportare per l’acquisto sul mercato europeo ETS (Emissions Trading Scheme) dei permessi per le emissioni di CO2. Per limitare le emissioni di anidride carbonica dei settori industriali più emissivi (acciaio, cemento, produzione di energia elettrica stessa, ecc.) sono stati stabiliti dei vincoli massimi di emissioni possibili per ciascuna azienda: se questa li sfora, può acquistare permessi sul mercato europeo, che rende disponibile un numero di certificati, in costante diminuzione in vista del raggiungimento degli obiettivi al 2030. Il costo dei permessi, che per lungo tempo è stato relativamente basso (5/10€ per tonnellata di CO2 prodotta) e quindi sostanzialmente ininfluente sulle scelte di decarbonizzazione, adesso è notevolmente aumentato a seguito di un mercato riformato con l’introduzione di una riserva di stabilità: l’eccesso di offerta di permessi è rientrato e i loro prezzi sono aumentati di circa 10 volte (siamo a oltre 80 € per tonnellata). A questo si aggiunge che, con il caro-gas, molti impianti hanno ricominciato a produrre elettricità con il carbone, aumentando le emissioni e quindi la richiesta di permessi e i relativi prezzi. Nonostante un impianto a gas spenda meno della metà di un impianto a carbone per i permessi di emissione per unità di energia prodotta, il basso costo del carbone rende comunque più conveniente produrre con questa fonte.
Come si compone il PUN?
In un quadro così complesso, ad esempio, il 29 novembre 2021 si è arrivati ad un Prezzo Unico Nazionale dell’Energia Elettrica (PUN) superiore a 400 €/MWh, con un peso sui costi di produzione pari a circa 166 €/MWh per il metano e a circa 27 €/MWh per i permessi di emissione di CO2. Che cosa manca per arrivare ai 400 €/MWh del PUN? In linea di principio i costi di ammortamento, i costi operativi e la remunerazione del capitale. Il mercato non è perfetto, quindi è normale che l’energia venga offerta al di sopra dei costi di produzione con un mark-up, ma in questo caso il mark-up è veramente rilevante. Nelle ore di bassa domanda, tuttavia, il mark-up si azzera e può anche diventare negativo.
Il mercato spot si basa sul costo marginale: di ora in ora sul mercato si forma un prezzo diverso, che corrisponde a quello dell’offerta più costosa che è stato necessario accettare per soddisfare la domanda (offerta “marginale”), prezzo che viene pagato a tutti i venditori e che viene pagato da tutti gli acquirenti. Un mercato basato sul costo marginale ha senso se ci sono fonti con costi marginali diversi da 0. Se al mercato partecipano fonti come le rinnovabili, che hanno costo marginale pari a 0, è evidente che il mercato che si basa su un costo marginale non ha più senso. Alcune fonti come, ad esempio, l’idroelettrico storico ricevono rendite molto importanti se la loro produzione non è stata venduta a prezzo fisso con contratti di lungo termine.
Promuovere lo sviluppo delle fonti rinnovabili
Il meccanismo di mercato ideale vedrebbe le fonti rinnovabili che contrattano a termine con un orizzonte lungo, non spot (giorno per giorno) come avviene in buona misura oggi. Questo renderebbe gli investimenti “bancabili” e i prezzi sicuri e stabili sia per il venditore che per l’acquirente. In quest’ottica sono nati i Power Purchase Agreement (PPA), che si stipulano fra produttore da un lato e grosso consumatore di energia o grossista dall’altro. Così le parti della transazione trovano una nuova tutela nei PPA, che infatti si stanno diffondendo rapidamente in Europa e nel mondo. In Spagna migliaia di MW di impianti fotovoltaici ed eolici sono stati finanziati così. In Italia, i PPA potrebbero analogamente avere un rilevante sviluppo se solo si risolvesse il problema delle autorizzazioni alla costruzione degli impianti: il Governo Draghi in questo senso ha cercato di snellire le procedure con il Decreto Semplificazioni.
Cosa può fare una PMI per difendersi da queste dinamiche fuori dal suo controllo?
Occorre agire sia sul lato della domanda, che sul lato dell’offerta di energia. Sul lato della domanda Il mantra delle politiche energetiche europee è “Energy Efficiency First”, quindi occorre investire innanzitutto nell’ottimizzazione dei propri consumi, partendo da un’approfondita diagnosi energetica.
Sul lato dell’offerta l’ideale sarebbe autoprodurre, almeno in parte, l’energia necessaria: ciò può essere fatto direttamente dalla singola impresa, ad esempio installando un impianto fotovoltaico sui propri fabbricati o terreni, oppure consorziandosi con altre imprese o consumatori e formare così una cosiddetta “comunità di energia rinnovabile”, schema che gode di incentivi sull’energia prodotta e condivisa al proprio interno.
Per la quota di fabbisogno che non è possibile soddisfare mediante autoproduzione singola o collettiva, l’ideale sarebbe entrare direttamente o indirettamente tramite un grossista in un PPA che stabilizzi sul medio-lungo termine i prezzi di acquisto, avendo come sottostante la produzione di uno o più impianti a fonti rinnovabili, la cui costruzione può essere finanziata dal PPA stesso.
Il 2030 dietro l’angolo, orizzonte 2050: e l’idrogeno?
Se è possibile immaginare di elettrificare con le rinnovabili i consumi delle case, del terziario e parte di quelli industriali, ci sono produzioni come ad esempio l’acciaio o la ceramica che richiedono temperature troppo alte per essere ottenute per via elettrica. A questo si può ovviare convertendo l’energia elettrica da fonte rinnovabile in un vettore decarbonizzato come l’idrogeno, prodotto per elettrolisi dell’acqua. Attenzione che la produzione, lo stoccaggio, il trasporto e l’utilizzo dell’idrogeno sono costosi ed energeticamente poco efficienti, per cui si tratta di una soluzione da considerare per il lungo termine. Inoltre, poiché verrà prodotto da fonti rinnovabili la cui produzione – in particolare nel caso del fotovoltaico – ha una ciclicità stagionale, occorrerà risolvere il problema di stoccare grandi quantità di idrogeno prodotto nei mesi più assolati, per poi consumarlo nei periodi dell’anno meno favorevoli.
Le previsioni di prezzo di metano e petrolio sono affidabili?
È estremamente difficile fare previsioni su commodities il cui prezzo non dipende solo dai fondamentali di domanda e offerta, ma da decisioni di cartelli come l’OPEC e da molteplici fattori geopolitici. Uno studio neozelandese di diversi anni fa suggeriva che le migliori previsioni sono i prezzi che si formano sui mercati future di tali commodities, poiché chi opera su tali mercati, mettendoci soldi, ha il massimo incentivo a raccogliere e valutare tutte le informazioni rilevanti che possono influire sui prezzi.